Lidl ha lanciato negli scorsi giorni un paio di sneaker a 12,99 euro. In tutti i Paesi dove è presente le scarpe sono andate a ruba. Cerchiamo di capire a chi ha fatto bene una simile scelta.
Sicuramente ha fatto bene al conto economico del discount-supermercato.
Ha fatto bene al traffico del singolo negozio, perché nonostante il prezzo sia stato fissato in 12,99 euro, la sneaker si è dimostrata un prodotto civetta.
Ha fatto bene a chi le sta vendendo a un prezzo più alto su internet, da 1.000 euro (in alcuni casi) a 80 euro, addirittura con aste.
Ha fatto bene al brand Lidl, visto che questa notizia abbonda sui giornali e nei social media e una campagna pubblicitaria on e off line ha sempre i suoi bravi costi, questa è stata gratuita.
A chi non ha fatto bene
Non ha fatto bene allo scontrino medio di Lidl perché molti consumatori-collezionisti-speculatori hanno acquistato soltanto le scarpe e se ne sono andati senza fare altri acquisti: lo scopo erano le sneaker, non la spesa.
Non ha fatto bene al lato sostenibilità del brand Lidl: a. Le scarpe hanno creato non poco assembramento nell’area non food, dove le persone cercavano anche di toglierle ai consumatori vicini, con buona pace del distanziamento sociale.
b. L’impegno a essere sostenibile nella costruzione dei negozi, dei prodotti e della logistica di Lidl, fa un po’ a pugni con questa vicenda. Bisognerebbe stare attenti alla reputazione del brand, soprattutto in questo momento: un brand deve essere equilibrato e sensibile e democratico e soprattutto etico e sostenibile.
c. Non ha fatto bene ai consumatori abituali di Lidl che hanno visto facce nuove e irrequiete a caccia delle sneaker.
Una sneaker è pur sempre una sneaker: quella di Lidl ha colori un po’ troppo accesi, ovviamente voluti. A parte i collezionisti e i giovani amanti del genere, sarà difficile vedere in giro qualcuno con colori così ai piedi. Cara Lidl, ne valeva la pena lanciare la sneaker proprio in questo momento?
Contributo di Luigi Rubinelli – Giornalista e esperto di retail e di consumi, laureato in Lettere.
Gli alto-acquirenti acquistano per il 70,8% frutta e verdura fresca sfusa, il rimanente lo acquistano confezionato (Fonte Nielsen).
Il lieve calo del comparto ortofrutticolo non confezionato (-5,5% 2018 vs. 2017) è dovuto ai 12 milioni di basso-acquirenti, che acquistano meno prodotti vegetali indipendentemente dal fatto che si tratti di prodotti confezionati o sfusi.
I basso-acquirenti, diversamente, solo nel 39,9% dei casi acquistano frutta non confezionata.
Questo è quanto pubblicato nella nuova ricerca Nielsen riferita al comparto ortofrutticolo, che indaga le motivazioni e i comportamenti d’acquisto dei consumatori nei confronti dei prodotti sfusi rispetto a quelli preconfezionati (ortofrutta a peso variabile vs. a peso imposto) e pubblicata il 17 gennaio 2019.
La spesa media annua per l’ortofrutta nella GDO per nucleo famigliare si aggira intorno ai 315 euro, ripartita in circa 60 atti d’acquisto nei 365 giorni.
Chi sono gli alto-acquirenti ?
Gli alto-acquirenti ortofrutta fresca, ovvero i consumatori che acquistano quantità sopra la media di prodotti nel comparto, sono famiglie medio grandi, adulti e vivono soprattutto al Nord e nel Centro Italia.
Al contrario, i basso-acquirenti sono sovrallocati al Sud e sono soprattutto famiglie più giovani, o single. Entrambi hanno comunque una moderata disponibilità di reddito.
Quali sono le ragioni di scelta per i prodotti sfusi rispetto ai prodotti confezionati ?
La preferibilità e l’abitudinarietà di uno o dell’altro acquisto sono tendenzialmente determinate dal riconoscimento di specifiche proprietà distintive, quali ad esempio la freschezza del prodotto sfuso, oppure l’igienicità e la comodità del prodotto confezionato.
Data una percezione di tendenziale equivalenza a livello di qualità del prodotto, emerge che chi sceglie il peso variabile (lo sfuso) lo fa per risparmiare e per avere un ridotto impatto ambientale, mentre chi sceglie il peso imposto cerca praticità e comodità (46% del campione).
Per il 38% degli intervistati i prodotti confezionati sono igienicamente più sicuri.
Nella ricerca di Nielsen, un italiano su quattro segnala di aver percepito un aumento dello spazio destinato all’ortofrutta confezionata all’interno dei punti vendita della GDO.
Inoltre, il 64% del campione, più di un italiano su due, dichiara di trovare nel comparto ortofrutticolo già confezionato la crescente offerta di servizio (e.g. frutta e verdura confezionate e pronte per essere cucinate) e il 57% sostiene di trovare porzioni/formati che si avvicinano a tutte le diverse esigenze di formato (frutta e verdura porzionate, pronte da consumare).
Qual’è l’impatto della normativa dei sacchetti bio ?
La ricerca Nielsen affronta anche un altro tema “caldo”, l’uso esclusivo di plastica biodegradabile per i sacchettini “ultraleggeri” ed il loro pagamento.
Il 97% degli italiani sono a conoscenza della normativa (campione intervistato) e il 99% che la stessa preveda il pagamento dei sacchetti.
La normativa è percepita come obbligatoria senza un particolare impatto sull’immagine dell’insegna.
Gli alto-acquirenti di ortofrutta mostrano maggiore condivisione della normativa che prevede l’introduzione di sacchetti in bioplastica, in quanto la considerano un incentivo a comportamenti ambientalmente virtuosi (il 14% in più rispetto alla media degli italiani).
La percezione che questi sacchetti rendano frutta e verdura più care invece riguarda soprattutto i basso-acquirenti del comparto (7% in più vs media italiani).
Nessuno dei due gruppi di acquirenti (alto e basso), dichiara di aver cambiato le proprie abitudini di acquisto nell’ultimo anno.
La lettura di questo dato è che in realtà l’introduzione dei biosacchetti a pagamento non abbia affatto compromesso l’andamento del comparto, bensì che i 12 milioni di basso-acquirenti di prodotti ortofrutticoli siano già da tempo più orientati al peso imposto per motivi di praticità e risparmio.
Nel contesto di un Paese che si dichiara virtuoso e attento alle tematiche di sostenibilità ambientale (il 92% delle volte la base di acquirenti di ortofrutta si impegna nella raccolta differenziata, il 90% delle volte porta borse da casa nei negozi della GDO per evitare di sprecare i sacchetti usa e getta, etc.), le motivazioni che spingono le famiglie ad acquistare i prodotti sfusi sono principalmente quelle di evitare sprechi (25%) rispettare l’ambiente (20%) e risparmiare sul costo del prodotto (18%)
Il messaggio chiave (conclude la ricerca Nielsen) è quindi palesemente quello di lavorare sul miglioramento del servizio correlato al prodotto sfuso: dall’irrobustimento dei sacchetti bio (suggerita dal 69% del campione) alla diversificazione dei formati per permetterne il riciclo come sacchetti dei rifiuti organici (suggerita dal 64%), …
Da questa ricerca emergerebbe che lo spostamento di acquisti verso il “confezionato” a seguito dell’introduzione della normativa inerente il pagamento dei sacchetti non influisca direttamente sull’aumento dei consumi di ortofrutta confezionata, ma che sia il servizio e la praticità a spostare i consumi …